Dalle maschere alle  macchine  

Un pretesto per riscoprire Alessandro Milesi (Venezia 1856 – 1945)

 

 

Walter Abrami

 

 

 

                     Una visita alla mostra Dalle maschere alle macchine. Pittura veneziana 1869-1914 nelle sale espositive del Centro Culturale Candiani di Mestre a cura dell’esperta e brava Flavia Scotton, ci ha permesso di riscoprire quella pittura di genere, ma soprattutto del buon senso che alla fine del diciannovesimo secolo e sempre meno nel ventesimo, fu fonte d’ispirazione per molti artisti della nostra terra.

Ci siamo spinti nel sogno di luce veneziano e riproponiamo parzialmente ai lettori l’itinerario dell’indovinata rassegna, prima di ricordare Milesi.

Non a caso, osserva la Scotton, la rassegna prende avvio dal 1869 anno memorabile per la pittura veneziana  (ma anche, non dimentichiamolo, per la solenne apertura del Canale di Suez alla quale aveva contribuito in modo determinante il barone Revoltella con la costutuzione della Compagnia Universale di cui fu vicepresidente).

Solo tre anni prima la città lagunare, appena uscita dalla dominazione austriaca, fu annessa  all’Italia!

Così scrive il conservatore della Galleria Moderna di Ca’ Pesaro: “…Guglielmo Ciardi, allora ventottenne firmava i suoi primi capolavori Canale della Giudecca e Mattino di Maggio, Federico Zandomeneghi con un’opera affine Squero a Venezia (più noto come Bastimento allo scalo) contribuiva a stabilire un confine netto tra passato e presente. L’anno dopo, nel 1870,  muore Michelangelo Grigoletti dopo aver dedicato una vita all’insegnamento, e con lui se ne va un’epoca caratterizzata dal declino del gusto neoclassico e dall’affermarsi del romanticismo storico. I giovani artisti veneziani che hanno recepito la forza dirompente proveniente soprattutto dalla terra di Toscana, con la pittura sintetica e innovativa dei macchiaioli, ma anche da artisti meridionali come Bernardo Celentano e Michele Cammarano, vedono Venezia con occhi nuovi, e vorrebbero vederla come si vede qualsiasi altra città, con uno sguardo sgombro dal peso della storia e con l’evidenza dell’attualità. Eppure, Venezia resta Venezia. Tale, in ogni modo, essa rimane nell’immaginario d’artisti e poeti per i quali, anzi, il mito della città si rafforza in proporzione inversa alla sua entropia sociale e politica”.

E passano davanti ai nostri occhi i dipinti di Mosè Bianchi, di Giacomo Favretto, di Cesare Laurenti (La signora Fragiacomo),  d’Italico Brass (El ponte del Redentor) d’Ettore Tito (L’inaugurazione del Campanile di San Marco, Autunno e Sulla laguna), di Guglielmo e Beppe Ciardi,  di Pietro Fragiacomo (Al vento e Tramonto Triste).

 Per coloro che amano la pittura paesaggistica,  è interessante paragonare la Campagna bionda di Ferruccio Scattola alla Raccolta del grano di Gianni Brumatti ora proprietà della CRTrieste.

E’ qui superfluo, aggiungere  commenti ed osservazioni a quelli  puntuali e preziosi scritti dalla Scotton e introdotti da  Romanelli nell’agile ed elegante volume edito da Marsilio.

Piace invece rilevare due soggetti del tutto diversi non solo nei contenuti:  la stupefacente tela  Il baro  di Vittorio Bressanin e il celebre brano di pittura La morte del pulcino di Luigi Nono; sebbene d’impatto emotivo diverso, sono felici e luminose le tempere di Vettore Zanetti Zilla A Murano, Mattino alla Giudecca, Partenza Sul Bacchiglione e il dinamico olio Macchine sotto pressione di Luigi Selvatico che sarà piaciuto a Marinetti, ma che avrebbe destato l’attenzione di Lionello Balestrieri e dei giuliani Brumatti e Sormani, autori di soggetti analoghi.

Con il Ritratto d’Irma (Emma) Gramàtica esposto alla Biennale nel 1903, Selvatico che all’attività d’arguto pittore ritrattista (dipinse gente di teatro, artisti, personalità della ricca società) affiancò quella d’acquafortista e di critico d’arte, ci dà un indicatore preciso delle proprie attitudini nel  genere  prediletto che gli valse gratificazioni e riconoscimenti economici.

Non a caso egli è definito “il pittore della femminilità elegante e dell’infanzia aristocratica”.

In questa rapida rassegna abbiamo volutamente lasciato  ultimo   Alessandro Milesi (Venezia 1856 – 1945) di cui parleremo più a lungo. Egli è presente in mostra con il noto Ritratto della madre eseguito a ventidue anni; si tratta di un’opera matura e moderna realizzata dopo gli insegnamenti scolastici  ricevuti da Napoleone Nani e dal tirolese Carlo von Blaas, che tuttavia ci fa risalire alla tradizione ritrattistica veneta del 1700 e più in generale ai grandi ritrattisti del Cinquecento.

Dei due maestri citati, il primo fu a lungo assistente di Michelangelo Grigoletti, il secondo fu scelto da Massimiliano d’Austria per eseguire alcuni lavori nel castello di Miramare.

Non furono gli unici che conobbe questo enfant prodige della pittura: egli studiò ornato con Ludovico Cadorin, prospettiva con Federico Moja ed ebbe un contatto davvero proficuo con Domenico Bresolin, pittore e pioniere fotografo che …seguì le tracce del Canaletto!

Già Anton Maria Zanetti nella sua opera Della pittura veneziana  e delle opere pubbliche de’ veneziani, andata alle stampe nel 1771, affidò il grande vedutista alla storia delle immagini meccaniche.

Canaletto fu proclamato maestro della camera ottica: “…insegnò il Canal il vero uso della camera ottica, e a conoscer i difetti che recar suole a una pittura, quando l’artefice interamente si fida della prospettiva che in essa camera si vede, e delle tinte specialmente delle arie e non sa levar destramente quanto può offendere il senso…”

Bresolin chiarì ai suoi studenti la vergogna del Canaletto che volentieri si meccanizzava e che certamente usò il pantografo (come si deduce dai misteriosi forellini battezzati pin-poiting visibili nei disegni londinesi), ma soprattutto introdusse  l’insegnamento della discussa materia a scuola, con l’intento di affrontare le differenze fondamentali tra la fotografia e la pittura. Dibattito che assunse toni accesi nell’Ottocento per la questione sociale introdotta dal mezzo meccanico che non poteva essere estraneo ai ritrattisti e ad  un giovane che, come Milesi, era stato abile ritoccatore di lastre presso il fotografo Sorgato.

Nel 1886, infatti, il governo italiano, accogliendo i voti favorevoli degli artisti fotografi, riconobbe che la fotografia è un’arte con una circolare “storica” e un decennio dopo il celebre fotografo fiorentino Carlo Brogi pubblicò il volume Il ritratto in fotografia.

A parte gli interessanti ed inevitabili agganci con la fotografia, allora considerata da qualcuno "arte nata da un raggio e da un veleno", il percorso pittorico di Milesi non fa notizia e non presenta, nell’aneddotica e nel suo equilibrato verismo, sobbalzi elettrizzanti sebbene i suoi rapidi pennelli sapessero agire  con l’istantaneità di una tendina al titanio.

 

         Alessandro fu figlio di seconde nozze di un commerciante di granaglie, lavorò da garzone in un negozio di tabaccaio e fu iscritto da un fratellastro all’Accademia di Belle Arti. Visse nel sestiere di Dorsoduro ed è stato più volte rimarcato dai critici, che agì in un perimetro limitato dalle Fondamenta Ognissanti, da Rio terrà Foscarini, dall’Accademia e dalle Zattere. Uomo di modesta cultura si spostò assai poco e malvolentieri, ma si tenne sempre informato sui principali avvenimenti artistici. Fu amico di Luigi Nono e di Guglielmo Ciardi di cui divenne cognato dopo aver sposato sua sorella Maria.

Diciottenne si recò a Verona dove il Nani gli fece ottenere qualche commissione e tornò in laguna in un momento davvero entusiasmante per Giacomo Favretto: in seguito i due divennero amici e non è escluso dipingessero assieme qualche tela.

Milesi si liberò poco per volta delle cognizioni scolastiche, abbandonò quel metodo di lavoro rigoroso che aveva appreso all’Accademia e trasse ispirazione dalla vita vera, dal quotidiano vissuto dalla gente nelle calli, dagli angoli più nascosti, dai muri (Muro sul rio, Muro vecio, Muro con fogliame, Staccionata), dai canali e dai gondolieri.

Ne sono felici e ormai classici esempi pittorici Gli orfani del gondoliere, La famiglia del gondoliere, Il gondoliere, Vorla montar?,  Le gondole de lo sposalissio (Sposalizio), Sposalizio ad Ognissanti, Regata sul Canale della Giudecca e Pope opere nelle quali eccelle la sua bravura di armonizzare il paesaggio all’uomo.

Milesi continuò ad eseguire ritratti: nel 1879 fu ospite a Trieste del capitano Perpich, comandante del piroscafo dell’arciduchessa Carlotta e immortalò l’uomo di mare e i suoi familiari.

Solo dopo l’Esposizione nazionale di Milano a Brera (1881), dove presentò Venditrice di zucca e Il nonno offre ottenne maggior fama come pittore di genere. Il bozzetto di questo dipinto venne esposto in un negozio di Trieste e fu venduto per 120 fiorini. Anche molte stagioni  dopo Milesi  ricordava volentieri l’episodio poiché il suo spontaneo e vivace dipinto fu venduto nel giorno dell’onomastico dell’imperatore Francesco Giuseppe!

Negli anni seguenti Milesi fu premiato con la medaglia d’oro prima all’Esposizione di Boston con Notissie Nove (La lettura del giornale), poi a Genova con La barca del papà, a Monaco con Ore tranquille (titolo qualche volta  sfruttato da Ugo Flumiani) ed infine a Roma con il celebre La merenda del Gondolier acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

Talvolta si recò in terraferma, seguendo i consigli del Bresolin, che gli aveva insegnato a dipingere all’aperto con la sensibilità del pittore e  il gusto per l’istantanea del fotografo. Milesi amava  soggiornare lungo il Brenta a Mira, dipinse a Marano Lagunare  e anche in quelle località che raggiunse con  la sua famiglia: Bassano,  Crespano sotto il Grappa,  Pieve di Cadore,  Auronzo,  Brunico e Siusi.

Nella IV Biennale del 1901 la Regina Margherita di Savoia gli acquistò Alla benedizione, ma, nella sua ormai vasta produzione, si susseguono opere indimenticabili: L’ombreta de nero, Quiete campestre, Ponte di Canonica, In attesa.

Gli anni della Grande Guerra lo trovano profugo a Genova dopo la disfatta di Caporetto; tornò dunque nella sua città natale e continuò ad esercitare il suo mestiere fino alla morte avvenuta nel 1945 a quasi novanta anni di età nella sua casa sulle Zattere.

Dal 1895 fu presente a tutte le Biennali fino al 1935 anno in cui smise di esporre, ed ebbe due volte un riconoscimento ufficiale con una sala personale (1912 e 1935).

Tre anni prima della scomparsa di Milesi, l’amico poeta Domenico Varagnolo scrisse un' affettuosa biografia del pittore. In età tarda Milesi amò osservare i giovani colleghi che dipingevano sulla riva del Canale della Giudecca e discutere con qualche amico di pittura in uno dei tanti caffè o trattorie della sua città che sempre aveva “sfruttato” per fare disegni e bozzetti.

A lungo fu uno degli avventori del  Caffè degli Artisti a Santa Margherita che divenne uno dei suoi punti d’osservazione prediletti; lì, presso il bel biliardo, si trovava con Nono, Ciardi, Laurenti e Bressanin.  Ma in seguito frequentò il Caffè Florian dove amava trattenersi nella celebre saletta chiamata il Senato nella quale “nacque” la Biennale.

Tra i suoi quadri sono assai conosciuti proprio  lo storico Caffè Florian che presentò all’XI Biennale ora proprietà del Civico Museo Revoltella e Notissie nove (Al Caffè) dove si misura con la pittura francese del tempo, e offre un saggio elettrizzante di talento.

Nel 1959 Venezia gli dedicò un’importante mostra postuma che nacque dall’iniziativa di un  cenacolo di artisti  e fu allestita nella Sala Napoleonica. A sua  figlia Antonietta, pure lei pittrice, va il merito di essersi prodigata per tutta l’esistenza al fine di conservare la memoria del padre.

Durante il corso della sua vita, Milesi che amò un’umanità semplice talvolta ripresa durante le cerimonie di una cresima, di un matrimonio o della   benedizione durante la messa, eseguì rari lavori nelle chiese: giovane fece alcuni affreschi (purtroppo scomparsi) per la Cappella nobiliare di Villa Pindemonte ora Veronesi al Vò d’Isola della Scala e negli anni Trenta, ispiratosi alla tela del Tiepolo ai Gesuati, dipinse una Pala d’altare  dedicata a Santa Teresa  nella neoclassica chiesa di San Maurizio. Certamente desunse il volto della santa, sua coetanea, da un’immagine eliografica.

Tra i suoi ritratti celebri figurano quelli del papa Pio X, di Giosuè Carducci (uno è conservato nello studio del poeta a Bologna), d’Umberto I, di Vittorio Emanuele III (che fu anche fotoamatore convinto e il I Presidente onorario della Società Fotografica Italiana), della regina Elena di Savoia, d’Eleonora Duse, d’Emma Gramàtica, di Marta Abba e dei pittori Pompeo Molmenti, Raffaelle Brugnoli, Guglielmo Ciardi e John Levery.

Del resto godette pure della stima d’altri illustri colleghi:  Franz Lenbach, Franz von Stuck, Paolo Troubetzkoi, Antonio Zona e Antonio Mancini.

Milesi colse con gran bravura ed introspezione psicologica cardinali, ministri, senatori, filosofi, cantanti poeti e scrittori così come le contadine, le fruttivendole, gli anziani e i bambini. I suoi “sfregazzi” ricordano le vibrazioni dell’ultimo Tiziano, ma egli studiò e ammirò costantemente anche le opere del Veronese e del Bassano.

Dopo gli anni Venti fu progressivamente dimenticato e negli ultimi decenni di vita rallentò la sua produzione  a causa dei problemi sopraggiunti alla vista.

Artista dalle doti naturali, robusto, di qualità, Milesi fu criticato, superato e sbobbato dai moderni; eppure la sua pittura materica, sorretta nei paesaggi e nelle scene di genere da  un disegno fluido e da prospettive o istantanee fotografiche, è tipica e ricca di atmosfere.

Nella maturità preparò di frequente imprimiture neutre usando la biacca e le ocre. In una fase successiva, dopo l’asciugatura dei cartoni o delle tele, passava una velatura di bruni sulla quale incominciava a dipingere usando preferibilmente i colori grassi. Quando realizzava  le vesti dei fanciulli, gli scuri abiti dei modelli,  i veli, gli eleganti e civettuoli  vestiti delle ricche committenti  o quelli tipici delle popolane, preferiva  usare pennelli piatti di larghezze diverse, ma ne alternava l’uso con quelli tradizionali, più o meno grossi, morbidi e appuntiti nell’esecuzione dei volti; ne sono esempi evidenti La gamella del papà quadro eseguito sul posto nel quale ritrae la figlia di un oste dell’Isola di Caprera di Mira Taglio, Ritratto di Signora e lo straordinario Mia figlia Antonietta. Curioso il fatto non tanto che talora usasse le dita ed i gocciolii del colore  diluito per risolvere velocemente qualche parte del quadro come ne La rossa, ma che facesse uso di qualche preziosa calza di seta (di certo sfilata a qualche nobildonna durante una posa prolungata nello studio) per strusciare, a suo modo, la tela.

Il suo messaggio fu percepito da alcuni pittori giuliani  tra i quali  Barison,  Fragiacomo e Flumiani e accolto, tra gli altri, da Marco Novati e Fioravante Seibezzi.

Uno dei suoi capolavori veristici intitolato Dopo il temporale nel quale è rappresentata una giovane mamma che cammina con i due figlioletti su un ponte di Venezia, è conservato a Buenos Aires.

La mostra Dalle maschere alle macchine (i 38 quadri esposti appartengono al vasto ed invidiabile patrimonio di Ca’ Pesaro!) ci regala, infine, anche uno spunto  per qualche analisi:

1) L’alta qualità dei dipinti esposti in una rassegna non è sempre indice attendibile  d’elevata presenza di pubblico.

2) Le riscoperte d’opere sommerse e polverose nei patrimoni regionali, nelle  istituzioni bancarie o nei musei italiani sono spesso  piacevoli sorprese per gli stessi addetti ai lavori  e per il pubblico. Se taluno, inebetito dalla confusione  esasperata dal mercato dell’arte, dai media e non solo dalle vendite propinate quotidianamente a tutte le ore ai telespettatori, le considera testimonianze moribonde  d’illogici, inopportuni, deludenti   acquisti, non può in ogni caso dubitare degli schietti, sinceri  presupposti “periferici” di quel passato, delle  ideologie nascenti, delle correnti letterarie (Milesi era un appassionato lettore de I promessi sposi).

E’ lampante che i migliori pittori adriatici vissuti tra i due secoli, dei quali Milesi è tra i primi, ebbero un giovanile umile e severo garzonato accademico o da bottega attraverso una pittura dalle basi solide.

 

 

 

 

Walter Abrami